Il 20 giugno, Giornata mondiale del rifugiato, e 26 giugno scorso ho visitato rispettivamente Casa Conte Forni e Casa ex Lemayer, due strutture che a Bolzano ospitano richiedenti asilo, anche “fuori quota”, titolari di protezione e persone vulnerabili.
Casa Conte Forni
Casa Conte Forni ospitava quel giorno 18 donne (su 22 posti) e sei uomini in emergenza, 22 richiedenti asilo (5 famiglie di cui una monoparentale e 4 donne), 12 minori soli, otto uomini in alloggi di secondo livello, una famiglia in emergenza, due donne con un bambino.
Nella struttura convivono diversi servizi di accoglienza residenziale temporanea, in emergenza e notturna per persone senza dimora prive di sostentamento, tra cui anche un centro diurno e gli uffici del SIS dell’Assb (in fase di trasloco). La struttura era pulita e ordinata; una nucleo familiare composto da 5 persone tra cui una bambina piccola convive da oltre un anno in un’unica stanza senza finestre (se non un’apertura sul soffitto).
Il personale, che ringrazio, è attento ai bisogni a cui cerca di rispondere con percorsi di fuoriuscita dallo stato di emarginazione, è però insufficiente, in particolare nelle ore notturne, anche per la presenza di minori soli e bambini. Durante la visita ho appreso che il servizio di vigilantes attivato ca. due anni è stato annullato, in quanto non ritenuto necessario. I minori soli invece non dovrebbero essere ospitati in una struttura destinata anche ad adulti e dovrebbero essere collocato in una apposita struttura.
Casa ex Lemayer (centro di transito per persone vulnerabili)
La struttura Casa ex Lemayer è stata aperta a metà dell’anno scorso da Provincia e Comune in collaborazione con ASSB e l’ente incaricato alla gestione, Volontarius, per accogliere immediatamente famiglie e vulnerabili “fuori quota” che giungendo autonomamente sul nostro territorio presentano domanda di protezione internazionale direttamente alla Questura a Bolzano e che in questa struttura attendono – anche per mesi – l’immissione in quota statale, cioè l’entrata in un centro di prima accoglienza per richiedenti protezione internazionale. La competenza sarebbe statale, in quanto trattasi di gestione dei flussi migratori. Attualmente è a carico della Provincia mentre sulle immissioni in quota statale decide il Commissariato.
La struttura tuttavia ospita anche un’altra categoria di persone ben distinta, e cioè titolari di protezione internazionale, in particolare famiglie, che dopo lunghi percorsi di attesa in centri di prima o seconda accoglienza, hanno ottenuto il titolo di protezione internazionale (asilo, umanitaria, sussidiaria, casi speciali), ma non hanno altre soluzioni abitative. I titolari di protezione devono essere segnalati per un loro inserimento in uno Sprar/Siproimi come previsto dal decreto sicurezza al fine di favorire percorsi di autonomia e indipendenza lavorativa e abitativa.
Il Centro dispone di un’entrata con un piccolo ufficio, una grande cucina dove viene portato dall’esterno il cibo, una grande sala da pranzo poco accogliente, con tavoli e sedie, un divano e un televisore, uno grande spazio con piccole stanzette senza finestre di 3*3m ricavate da pannelli divisori in metallo e come porta un telo. All’interno in genere due letti a castello e un piccolo armadio. I bagni insufficienti sono esterni alla struttura. Da poco il tragitto per raggiungerli è stato coperto con una tettoia (per rendere i bagni meglio raggiungibili accedere alla struttura ho dovuto chiedere autorizzazione tramite il Comune alla Provincia.
A fine giugno nella struttura vi erano 112 persone (in deroga al numero massimo previsto di 100) di cui 49 minori da 0 a 17 anni – anche neonati. Di cui otto nuclei familiari e una persona singola sono titolari di protezione umanitaria/sussidiaria/casi speciali/asio politico.
Il decreto sicurezza ha bloccato ad oggi l’ampliamento dei posti Sprar/Siproimi programmati dai comprensori della nostra provincia – in particolare mancano posti per le famiglie che in parte gravano così nuovamente sul capoluogo e nelle grandi strutture inadatte.
Le difficili condizioni di vita nella struttura – nonostante l’impegno degli operatrici / operatori – mettono le famiglie e persone ( e operatori/trici) sotto forte pressione causando ulteriori sofferenze e traumi psicologici e incrinando il difficile clima di convivenza in questa struttura che nulla ha a che vedere con i modelli di assistenza sociale che dovrebbero esistere nel 2019 in una provincia/città come la nostra.
Per l’estate sono state attività collaborazioni con le organizzazioni sportive e che si occupano di attività estive per garantire il più possibile la permanenza dei minori all’esterno della struttura durante il giorno.
In qualità di Referente per i richiedenti asilo ho segnalato dal 2016 l’opportunità di chiudere questi grandi centri per famiglie e vulnerabili a Bolzano e favorire invece strutture più ordinarie (con stanze, finestre e porte) e con percorsi inclusivi e di autonomia sull’esempio dell’ex Maso Zeiller o come le esperienze SPRAR/SIPROIMI che favoriscono maggiormente l’accompagmamento all’autonomia.
Il nuovo decreto sicurezza ha peggiorato per Bolzano e Provincia le possibilità di inclusione e accoglienza diffusa favorendo nuovamente i grandi centri inadatti dal punto di vista della sicurezza e inclusione.
Sono da prevedere più posti per immigrati lavoratori (come presso la casa lavoratore) e possibilità abitative dignitose per famiglie e bambini.
Chiara Rabini
Consigliera comunale a Bolzano e Referente per i richiedenti asilo e rifugiati